ORNA LUTSKI
Bandiere
La mostra di Orna Lutski si contraddistingue per tre elementi di fondo: il bacino mediterraneo come piattaforma e fondamento concettuale; bandiere come motivo base della sua arte e parafrasi di autentiche immagini di bandiere come perfette interpretazioni femminili di simboli già esistenti. La sua volontà artistica di interessarsi alle bandiere degli stati e dei paesi mediterranei intende essere una interpretazione riflessiva e omogenea delle bandiere dei paesi vicini tra loro situati sul medesimo mare. L’uso dei simboli e colori, che caratterizzano le bandiere dei nostri vicini, esprime la forza motrice di questa mostra e la potenzialità femminile.
MARE MEDITERRANEO
Il territorio geografico, che interessa l’ artista, si situa su tre continenti, sulle cui rive è nata la storia dell’uomo ad oriente dell’emisfero est. Non si può comprendere l’unicità dell’arte e della cultura di questa parte del mondo senza conoscere le sue specificità geografiche, sulle quali si basa la sua storia. E’ impossibile comprendere senza un approfondimento di come la natura in modo occulto compenetra nella storia e nell’arte, senza uno studio di come queste coste si riflettono nell’ architettura, che li è sorta, e di come sui suoi confini influisce l’espansione della fede e delle correnti migratorie. E’ impossibile capire senza uno studio del corso dei fiumi e dei territori dove cresce la vite e l’ulivo, come pure non ricordando le storie, nascoste nei vecchi manoscritti e negli annali marittimi, nei vocabolari di lingue scomparse o rinate, nei modi di dire e nei dialetti, che si svilupparono e modificarono senza alcun intoppo nello spazio e nel tempo.
Il mosaico mediterraneo è composto da innumerevoli e diversi elementi. E’ impossibile racchiudere in un tutt’uno le sue specificità religiose e politiche. Il mediterraneo non è solo puro concetto di appartenenza, di storia o di geografia. Forse più che altrove su questo territorio si sono incontrati popoli e razze, che per generazioni si sono combattute tra loro. Sulle sue coste si intersecano le tortuose strade della seta e della giada, del sale e delle spezie, dell’olio e dei profumi, dei manufatti e delle armi, dell’artigianato e della scienza, delle profezie e delle convinzioni…
Qui come idioma ad uso commerciale regionale ed internazionale, dominava la “lingua franca”. In questa parte del mondo si fusero Europa, Magreb e Vicino Oriente; il giudaismo, il cristianesimo e l’ islam; il Talmud, il vecchio e nuovo Testamento ed il Corano; Atene e Roma; Gerusalemme, Alessandria e Costantinopoli; Venezia e Genova; l’arte greca, la dialettica e la democrazia; la legge romana, il foro e la repubblica; la scienza araba; la Provenza e la Catalogna; il Rinascimento italiano; la Spagna e le sue epoche di splendore e di decadenza, gli Slavi del sud della costa adriatica; ed innumerevoli altri elementi, che caratterizzano e formano la sua unicità.
Per conoscere la “mediterraneità” nel suo complesso sviluppo e significato, non dobbiamo separare tra di loro i vari elementi. Per comprendere l’essenza di una regione nella sua globalità: il concetto di “ambiente” non può essere ridotto al solo concetto geografico, geologico, climatico o ecologico, come non possiamo neppure basarci solamente sulla società, l’ economia, la religione o la storia.
Cosa significa “Mediterraneità”. Un modo di pensare, un colore, un suono musicale, un particolare tipo di luce o di odore, un comportamento o una mimica del corpo? Può essere concepito dalla particolare limpidezza del cielo, dallo splendore del sole, dalle ombre che si riflettono nell’acqua, dalla vivacità delle sue strade, dai tumultuosi marciapiedi situati davanti ai caffè, dalla teatralità con la quale i pescatori al mercato espongono i loro prodotti, dal loro ricco vocabolario e dai loro pittoreschi gesti, dal carattere della gente, dalla gioia di vivere, dalle spezie per le quali sono famosi questi paesi, dal profumo del gelsomino e dal gusto dell’aglio, dallo sviluppo del turismo, dalla calda acqua e dalla cultura che contraddistingue affollate spiagge? Sembra invece che le diverse inestinguibili qualità si intrecciano con le peculiarità di questo territorio, creando la magia che chiamiamo “mediterraneità”. Purtroppo al mare Mediterraneo non si prospetta un futuro felice, specialmente a causa delle illogiche e abusive brutture edilizie che lo caratterizzano. La costa dell’Africa del nord, dell’ Europa sud-occidentale e del Vicino Oriente sono forse le ultime dove possiamo trovare ancora banchi di sabbia e rocce naturali, terre coltivate dall’uomo che le lavora ormai da diversi millenni. Si calcola che fino al 2025 sarà urbanizzata la metà delle pianure costiere, in alcuni paesi i grandi centri urbani si estenderanno per oltre dieci e persino cento chilometri lungo la linea di costa.
In questo contesto, secondo un rapporto ONU ci sono tantissimi casi di espansione urbanistica, che documentano le differenze tra paese e paese, sito sulle rive del Mediterraneo. In Albania, ad esempio, è stato costruito soltanto il sette per cento della costa, in Israele, in Libano, Palestina (Gaza), a Monaco ed in Slovenia la costa è quasi tutta urbanizzata. Indubbiamente esistono anche grandi differenze tra gli stessi paesi europei, che gravitano sul Mediterraneo. E così pure tra i paesi del sud e quelli orientali, come nel caso dell’Algeria, dell’Egitto e della Tunisia, per le loro capacità di scontrarsi con le sfide portate dallo sviluppo. Ad esempio l’Israele ed i suoi vicini sono condizionati negativamente dai costanti scontri bellici della regione, dovendo investire grandi capitali per le guerra.
Una delle più importanti raccomandazioni dell’ ONU è quella di incrementare la collaborazione tra Europa e gli
altri paesi del Mediterraneo, nel cui contesto sarebbe necessario inserire aiuti sotto forma di conoscenza, tecnologia e pianificazione specializzata. Secondo il rapporto ONU l’interesse fondamentale dei paesi europei dovrebbe essere quello di conservare la stabilità economica dei paesi limitrofi, come pure quello di attivare processi di modernizzazione, che favorirebbero la scomparsa della povertà, degli scontri bellici e l’incessante emigrazione verso i paesi europei. Gli autori del rapporto sono convinti che è possibile in tal senso sfruttare la tipica inventiva delle culture mediterranee e le innumerevoli fonti naturali, che la regione offre ai suoi abitanti ed ai turisti. Si aggiunge ancora che nonostante l’affrettato sviluppo, le devastazioni ecologiche e l’inquinamento, non si deve dimenticare che il Mediterraneo grazie al suo clima unico, alle sue regioni ed al suo stile di vita è uno dei territori più piacevoli al mondo. Per questa ragione è difficile contraddire il filosofo e letterato Predrag Matvejevic, che nel suo libro “Breviario Mediterraneo”, afferma che è impossibile esaurire il concetto di Mediterraneo e aggiunge che tutti possono diventare “mediterranei”, indipendentemente da dove sono nati o dove vivono, in quanto che la “mediterraneità” non si eredita, bensì la si può acquisire. Si tratta di decidere e non di priorità, ed essere “Mediterraneo” non è solo questione di storia o di geografia, di tradizione o di fede, bensì significa anche destino.
Nell’opera di Orna Lutski gli elementi che caratterizzano lo splendido, ma anche teso mosaico mediterraneo, si manifestano in varie maniere. Nella serie temporale chiamata “Izrael” ha approfondito il concetto di confine e di patria, ma anche il metodo di come creare la vita di ogni giorno nella nostra regione su base personale e politica. L’immagine di fondo di questa serie è la geografia della regione, dove i confini mutano da zona a zona in rapporto agli avvenimenti contingenti in questa molto vivace regione. La carta geografica con la sua estensione diventa allegoria della vita: una volta, la carta geografica viene rappresentata con del ferro, dei chiodi, paragonabile al letto di un fachiro, un'altra volta diventa un grande simbolo, caparbiamente innalzato su un altare, o ancora prende la fisionomia del corpo esuberante di una donna, un qualcosa come la madre Terra, che assorbe in se tutte le tribolazioni della guerra, delle malattie e dei suoi bambini. L’artista attorciglia una carta geografica con filo di ferro pungente, un’ altra, la raffigura come un panno con immagini di rose. Nell’opera dal titolo “Kriala”, la carta geografica del paese è seppellita sul fondo di una cassa, mentre altrove cresce come la vegetazione di un prato.
Le altre opere parlano di collaborazione e di regioni multiculturali, di innumerevoli religioni che si percepiscono e ci offrono un’immagine di fine del mondo. Nelle diverse opere della Lutski si fa uso dei simboli delle tre religioni monoteiste, che le rappresenta in diverse occasioni e manifestazioni, come nel caso dei
lapidari o dei vari festival della pace e della tolleranza tra popoli diversi. Nelle installazione, invece, l’ artista fa uso di elementi naturali del luogo. Elementi base diventano pertanto varie erbe e droghe, limoni e rami d’olivo, che forniscono profumi mediterranei e racchiudono messaggi antibellici.
Nei suoi lavori è presente anche l’elemento della dinamicità. Nell’ anno 1998 sui tetti della vicina Wadl al-Nisnass, impiantò dei cavalli in una installazione spettacolare, che ci ricordava le caravane che si spostavano lungo le vecchie strade commerciali. Lavoro questo che viaggiò per diversi anni su scenografie diverse e rappresentato in diversi contesti. Infine, nella maggior parte dei suoi lavori, in circostanze diverse, prevale la figura femminile. Donne che sulla loro testa e sulle loro spalle recano il peso del mondo; donne intrecciate, come fossero state fuse dall’orefice; cacciatrici in strutture a spirale; la struttura elementare delle case con tessuti femminili, che si adagiano sulle spalle delle altre: donne, che come una palla rotolante corrono lungo un cerchio senza fine; e non per ultimo donne che si spostano sul posto in senso antiorario, contro tutti gli ostacoli possibili. L’opera “La donna in corsa” è stata posta, nell’anno 1999 nell’ ambito del progetto “Il cammino della donna per la pace”, sul confine israelo-giordano, in occasione del quinto trattato di pace tra questi due paesi.
L’itinerario del progetto “Bandiere” tra gli stati mediterranei è parte integrante di un più ampio concetto dell’opera di Orna Lutski, che è collegato genericamente al tema della mobilità. Questa volta la donna in movimento attraversa il confine come portatrice di una fiaccola e che tenta di offrire il suo punto di vista, indipendentemente da dove si reca.
BANDIERA
La mera osservazione della bandiera di uno stato, crea in noi una forte sensazione, specialmente per l’ideale, il colore ed il simbolo che ci parla dei valori e dei principi di coloro che la espongono. Le bandiere servivano all’inizio per la segnalazione e l’identificazione e questo compito lo svolgono anche oggi. Funzione primaria delle bandiere è risvegliare il senso di appartenenza e di orgoglio tra coloro, che le portano. Questo concetto si fa ancora più potente a causa del nazionalismo, visto come espressione dell’amor patrio. Di solito le bandiere sono formate da simboli, immagini e colori, che ci narrano gli avvenimenti storici in uno specifico contesto politico e che rappresentano: la loro ideologia di base, la memoria collettiva, i moti espressi dalla gente sulle barricate ecc. Quando questi fattori cambiano, cambia anche il tipo di bandiera, specialmente all’inizio di una guerra, di una rivoluzione sociale oppure nei cambiamenti territoriali, che causano la necessità di un nuovo simbolismo.
In questo contesto mi è impossibile trattare la storia delle bandiere nel suo insieme, i loro differenti colori e simboli, che siano essi perenni o mutevoli, ed i metodi
diversi di esposizione delle bandiere (capovolta in segno di angustia; a mezza asta in segno di lutto generale ecc.) ed il significato dei colori (bandiera bianca in segno di resa; bandiera rossa come indicazione del comunismo, anche se ha origine nelle navi normanne del 14esimo
secolo: bandiera nera come segno di pericolo ECC) o ancora i differenti significati dei colori delle bandiere dei singoli stati.
Le cronache dei diversi paesi registrano molti casi di esposizione della bandiera come atti di eroismo, che vengono tramandati da generazione in generazione. Due enormi fotografie sulla fine della seconda guerra mondiale raffigurano la prepotente potenza di un pezzo di stoffa sventolante, chiamato comunemente bandiera. In una si rappresenta l’innalzamento della bandiera americana sull’isola di Iwo Jima nel corso della seconda guerra mondiale. La foto risale al 23 febbraio 1945 ed e’ stata realizzata da Joe Rosenthal. Propone l’immagine di cinque marines americani ed un infermiere, nell’ atto di alzare la bandiera americana sul monte Suribachi, durante la battaglia per Iwo Jima. Per questa foto, Rosenthal nell’ anno 1945 ottenne il premio Pulitzer. Dei sei militari della fotografia ne sopravvissero soltanto tre; ottennero dei ruoli secondari nel film “L’ inferno di Iwo Jima” interpretato da John Wayne, che nell’ industria cinematografica della metà del 20esimo secolo incarnava la virilità. Un'altra non meno sbalorditiva e spettacolare fotografia è stata scattata il 30 aprile 1945 da Evgeni Khaldei (che ha visto la foto di Rosenthal). In essa i militari dell’Armata Rossa innalzano la bandiera sovietica sull’edificio del Reichtstag di Berlino. Più tardi è stato dimostrato che i rappresentanti di ambedue le foto avevano posato per questa foto. Nonostante questa scoperta niente impedì che raggiungessero il posto più alto nel panteon dell’eroismo, e diventassero patrimonio nella storia della fotografia documentaristica. Per un certo periodo l’immagine della bandiera nell’arte era percepita come eroismo..Un esempio tra tutti è il quadro di Delacroix “La libertà guida il popolo” (La Libertè guidant le peuple”, nel quale viene rappresentata la rivoluzione di luglio dell’anno 1839. Anche se Delacroix non partecipò ai combattimenti, senti il bisogno di “fotografare per il proprio paese”. Nell’opera si vedono un gran numero di combattenti armati, che rappresentano il popolo, i cadaveri dei rivoluzionari sdraiati davanti alle loro gambe. Come sfondo un grande fumo bianco. La massa viene guidata da una donna mezza nuda che porta il tricolore della repubblica francese. I suoi colori, azzurro, bianco e rosso sono particolarmente evidenziati e marcati. L’immagine della donna, più accentuata sulle altre figure del quadro, rappresenta la libertà, ed è l’unica del quadro creata sull’ideale classico, mentre tutte le altre figure seguono il principio della figurazione iperrealistica. La donna monumentale, come simbolo di un concetto astratto, scalza come una dea greca, è vestita con una veste cadente, le sue mammelle sono scoperte come quelle delle amazzoni. Nonostante il suo classico apparire il suo modo di vestire è semplice, grezzo, di materiale ordinario, che ci indica il suo appartenere al ceto della gente comune. Sulla testa porta un berretto rosso, è inquieta e vitale, in una mano porta un fucile, nell’altra la nuova bandiera della sua nuova patria.
Anche se abitualmente la bandiera è prerogativa degli uomini, nelle opere di Delacroix invece sono le donne a portarle, e questo nell’epoca quando le donne ancor sempre erano senza diritti, e mai accadde che stettero dietro alle barricate con la bandiera in mano (nonostante l’emendamento a loro favore dopo la rivoluzione francese circa 40 anni prima che Delacroix creasse la sua opera). La parvenza di dee mitologiche, con cui Delacroix infarcisce le sue opere, accentua il senso di figura allegorica, e non della donna in carne ed ossa. Queste rappresentazioni sono state viste positivamente da una parte della cultura patriarcale. Normalmente le bandiere venivano portate dagli uomini, che le sollevavano e combattevano e persino morivano per loro durante la battaglia. Il punto di vista della donna, per il quale la Lutski si è decisa a presentare la sua serie di bandiere, si ricollega ad un concetto più ampio di storia dell’ arte, che dalla metà del 20esimo secolo in poi si dedica alla destituzione della bandiera come simbolica sacralità. Jasper Johns, che basò la sua opera sugli oggetti come simboli, che rispecchiano fatti e condizioni, parla della bandiera americana come di una icona contemporanea e la coppia col suo pennello. In questo caso la bandiera si trasforma in oggetto d’arte, ed è stata da lui sopravalutata, nel chiedere il suo significato ed il suo valore. Johns è riuscito a sconvolgere il pubblico americano nel momento in cui trattò questo simbolo statale come un tema pittorico e parallelamente rigettò tutti gli standard nazionalistici e di amor patrio, ad essa collegati. Dagli anni 70 del secolo scorso, in simboli, le convenzioni ed i miti furono fatti segno di accostamenti contraddittori. Per questo motivo la bandiera diviene spesso punto di riferimento nel processo di demolizione di ambiti conformistici e tradizionalistici e tema di fondo di innumerevoli mostre personali e collettive.
LA POTENZA DELLE DONNE
Nelle mani della Lutski la metamorfosi che la bandiera subisce, inizia ad agire in forma più leggera e la si individua da un punto di vista che si differenzia dal suo reale ed comune significato. Nella sua creazione artistica, l’autrice libera la bandiera dall’egemonia dell’uomo e dal lato concettuale e pittorico la affida alle mani femminili. Con categorico uso della fotografia, accomuna le mani della donna alla nuova immagine, che viene proposta e ordinata per ogni bandiera esposta, come contraddizione di quella rappresentazione di forza, indice, di potenza della maschilinità.
Tutte le mani femminili, che l’artista fotografa ci giungono dalla realtà diretta e scoprono dei grandi particolari sulla vecchiaia, la personalità, il mestiere, la forza e la debolezza dei loro possessori. Proprio grazie alle specificità femminili, che l’artista inserisce nelle bandiere, queste assumono un aspetto più umano e meno ufficiale e simbolico. Molte di queste mani, che le bandiere includono, sono congiunte oppure avvolte, e parlano di una generazione quando le donne avevano le mani legate e la loro voce non era ascoltata. La graduale e lenta apertura delle mani, indica il proseguimento della lotta della donna, che ha davanti a se ancora un cammino lungo, pieno di battaglie ed impedimenti, fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi.
Le mani hanno un posto particolare nelle varie rappresentazioni della storia dell’arte. In un primo momento come espressione artistica del bambino, che affonda le sue mani nel colore e su tutto quanto riesce a raggiungere: sulla carta, sui muri, sulla tavola, su se stesso e sui genitori. Con questo atto i bambini esprimono il loro istinto di “lasciare una traccia” nel loro ambiente, come parte del loro processo di sviluppo umano, che comprende anche l’auto rappresentazione.
Nell’arte troviamo tantissimi casi dove si evidenziano le mani come immagini di pensiero, che approfondisce la metamorfosi di un messaggio specifico. Durer, ad esempio, diede una grande importanza alla rappresentazione delle mani nelle sue figure, in quanto credeva che la raffigurazione delle mani racchiudesse notevoli informazioni sulla figura proposta, come ad esempio nel quadro con le mani del giovane Cristo (1506) oppure nella mano sinistra dell’autoritratto dell’artista (circa 1493). Michelangelo nella quarta rappresentazione della sua grande opera, sul soffitto della cappella Sistina , nella creazione di Adamo (1512), sotto il titolo “Creazione dell’ uomo come simbolo della creazione”, dipinse due mani allungate, che si intersecano una con l’altra. Questa immagine è stata tramandata fino ad oggi dalla cultura consumistica, dove viene adoperata per la promozione commerciale e nella reclame. Goya, nelle terrificanti immagini, che caratterizzano una delle vittime nel suo ben noto quadro “Uccisione dei difensori di Madrid” del 3 maggio 1808, vengono rappresentate dalla drammaticità delle mani tese; nell’opera di Munch “L’urlo” del 1893, le mani che tengono una testa mozzata, hanno un ruolo fondamentale nella rappresentazione di un atto drammatico.
Il senso delle mani in senso negativo vengono magistralmente rappresentate dallo scultore giapponese Yasui Tomotaka, che è dell’opinione che le mani sono così importanti da farci deviare la nostra attenzione dalla semplicità della forma che si desidera proporre. Tomotaka, pertanto crea le sue sculture senza le mani, anche se la potenza di quanto non esiste nelle sue opere è spesso maggiore di quello che esiste. Alla stessa stregua l’ inizio della storia “Viewfinder” (il creatore) di Raymond Carver (1974) che parla dell’indispensabilità delle mani come fautrici del meccanismo artistico: ”L’uomo senza mano si è presentato sulla soglia, per vendermi la fotografia della mia casa….”
L’espressione femminile della virilità in Orna Lutski, in contrasto all’affermazione di simboli portati avanti dalle sue amiche, non intende essere una ostentazione di forza. Nella sua opera non è caratteristica la cieca caparbietà, ben nota nell’arte femminile degli anni settanta. Nello stesso tempo il suo messaggio femminile non si discosta completamente dal contesto politico (nel quale di solito la donna non è presente). Usando la raffinatezza femminile, stoffe colorate e leggere e soffici nastri di mussolina di impalpabile fattura, che possono far deviare la nostra attenzione dal messaggio principale della sua opera, l’artista ci offre una particolare alternativa, legata ancor sempre ad una cultura patriarcale dominante e ci offre l’ immagine di un futuro diverso, nel quale le donne si troveranno all’avanguardia.
Nel bacino mediterraneo, all’incrocio tra Europa, Asia ed Africa, nella multiculturalità, in regioni multinazionali, uno accanto all’ altro, vivono paesi in via di sviluppo e paesi economicamente avanzati; su un territorio dove incessantemente si sviluppano continue lotte e dove i problemi politici rimangono irrisolti: sul palcoscenico del medesimo mare, che abbisogna di tutele ecologiche; su un territorio, che necessita di un suo riflettersi nella società, nell’educazione e nella fede, proprio in queste complessità dovrebbe trovare lo spazio la massiccia collaborazione tra le donne, che
certamente servirebbe alla soluzione di ogni difficoltà. Nell’epoca della cultura di massa, di internet e di grande mobilità le donne possono esercitare un ruolo decisivo ed influente di riconciliazione, proprio tramite le parole dell’artista.
”L’opportunità di dialogo e di attiva di partecipazione di noi donne, ci offre la possibilità che in modo significativo collaboriamo alla creazione storica della nostra regione”. |